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Buen vivir

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Messaggio  Admin Dom Lug 19, 2009 11:49 am

Ecuador e Bolivia: Buen Vivir, Identità e Alternative al modello
www.censat.org, traduzione di Francesca Casafina da sito di http://www.asud.net
Le
nuove costituzioni di Ecuador (2008) e Bolivia (2007) considerano il
concetto di buen vivir o sumak kawsay come uno dei principali assi
tematici dei rispettivi testi costituzionali. Il sumak kawsay
rappresenta un modello di vita improntato su un nuovo tipo di relazione
tra gli esseri umani e la natura e propone un nuovo orizzonte di vita e
un'alternativa di fronte alla visione monoculturale della civiltà
occidentale.
Nel
dicembre 2007 è stata approvata la Nuova Costituzione Politica
boliviana. Per la prima volta nella storia costituzionale del paese, la
carta magna riconosce il carattere plurinazionale dello stato e
garantisce i diritti dei popoli originari. Circa due terzi della
popolazione boliviana è di etnia indigena e dichiara di appartenere a
una delle tante nazioni originarie, comunità o popoli che abitano da
tempi immemorabili sulle terre di quello che adesso è lo stato
boliviano. La Bolivia si autodefinisce, oggi, come una società plurale
e pluralista che promuove come principi etico-morali e valoriali lo
“ama qhilla”, lo “ama llulla”, lo “ama suwa” (non essere pigro, non
essere bugiardo, non rubare), il “suma qamaña” (vivir bien), il
“ñandereko” (vivere una vita armoniosa), il “teko kavi” (vivere una
vita buona)lo “ ivi Maradi” (terra senza male) e il “qhapaj ñan”
(cammino o vita nobile)”.
Seguendo
questo stesso cammino, il 25 luglio 2008 l'Assemblea Nazionale
Costituente dell'Ecuador ha approvato il progetto della nuova
costituzione dell'Ecuador. Nel settembre dello stesso anno, la
maggioranza del popolo ecuadoregno ha espresso la propria approvazione
al nuovo testo costituzionale, attraverso un referendum. Anche
l'Ecuador ha così potuto avviare un processo di rifondazione dello
stato attraverso il riconoscimento della sua natura plurinazionale e
sovrana così come dell'eredità storica e culturale dei popoli andini,
accordando piena legittimazione al concetto quechua del buen vivir, il
sumak kawsay.
L'inclusione
del sumak kawsay o del suma qamaña nelle nuove costituzioni
dell'Ecuador e della Bolivia ha significato il riconoscimento di un
modello alternativo di società proposto dai popoli indigeni,
tradizionalmente emarginati o ignorati dalle élites al potere e che
adesso reclamano un maggiore protagonismo nella vita pubblica e il
rispetto della loro diversità culturale. La loro lotta per il diritto
alla terra, per mantenere i loro sistemi di credenze, le loro forme di
amministrare la giustizia e, in generale, altri modi di concepire e
interpretare il mondo, dura ormai da decenni.
E'
innegabile che si sia compiuto un grande passo in avanti, verso una
sempre maggiore decolonizzazione e deoccidentalizzazione del pensiero,
da parte di settori storicamente tenuti ai margini della vita pubblica
e dei processi decisionali. Senza dubbio, le linee guida dei nuovi
testi costituzionali – il sumak kawsay, il buen vivir, la costruzione
di stati plurinazionali – devono servire da fondamento per la
costruzione di alternative attraverso un processo collettivo che
rifugga da derive unidirezionali o del pensiero unico. Non esiste un
solo cammino, una sola direzione o un solo attore: è necessario
intraprendere una strada che includa la maggioranza degli attori
presenti nella scena politica e sociale. Non si può, quindi,
prescindere dalle seguenti questioni: come coivolgere i settori
meticci, urbani che non si sentono rappresentati dalla filosofia
indigena del buen vivir? Come promuovere un dialogo aperto, sincero e
autenticamente interculturale per dare sostanza al concetto di buen
vivir, così da favorire il rispetto dei diritti collettivi, il
riconoscimento della pratica della plurinazionalità, la diversità
culturale e l'importanza di vivere in armonia con la natura? E'
possibile, attraverso la pratica del buen vivir, rompere con
l'omogeneizzazione culturale che impone un modello unico di stato, un
unico modello di pensiero e di progettualità politica?
La
“vita buona” dell'Occidente. Il “vivir bonito” amerindio E' importante
individuare e evidenziare le differenze che intercorrono tra il
concetto occidentale di “vita buona” o benessere o “vivere bene” e il
“sumak kawsay” o “suma qamaña” dei popoli indigeni del continente
latinoamericano. “La tradizione occidentale della “vita buona” ha due
fonti: la prima è quella del mito biblico del giardino dell'Eden e la
seconda è quella che si riallaccia alla visione aristotelica” (Medina,
Javier. Suma Qamaña. Por una convivialidad posindustrial, La Paz,
Bolivia, Garza Azul Editores, 2006. Pág. 105). Risulta, quindi,
evidente che esistono profonde differenze tra le due concezioni, quella
andina e quella occidentale. La prima di queste è la divisione che la
cultura occidentale promuove tra l'uomo e la natura. La visione
aristotelica di “vita buona” risulta come slegata dal mondo naturale,
viene concepita in un contesto urbano, nella polis: tutto ciò che si
trova fuori viene considerato “incivile”, in relazione alla vita nei
campi o nelle foreste. E' per colpa di questa divisione tra uomo e
ambiente, connaturata alla cultura occidentale, che adesso ci
ritroviamo a dover affronatare una crisi ambientale senza precedenti.
La natura non solo è stata addomesticata ma anche trasformata,
manipolata, urbanizzata, mercantilizzata. Niente è riuscito a fuggire
dai circuiti letali del capitale: l'acqua, le foreste, i boschi, il
cibo, la vita, i semi, l'atmosfera. Sono talmente aggressivi i
meccanismi di distruzione delle risorse naturali che la stessa
sopravvivenza dell'umanità è messa in pericolo. Ugualmente, nella
concezione cristiana, Dio separa la natura dagli uomini: questi
dovranno dominare la terra e metterla al loro servizio (Medina, 2006:
105). Nel mito biblico, “la natura era concepita unicamente come un
hortus clausus, un orto chiuso, addomesticato, separato dal resto della
natura, considerata selvaggia e idomita, dai pericoli e dalle insidie
della foresta: un luogo dove gli esseri umani potessero vivere in ozio
perpetuo, senza lavorare. Il lavoro diventava quindi un castigo anzi il
castigo per eccellenza: mangeranno pane con il sudore della fronte”
(Medina, 2006: 105).
Secondo
la visione greca, la “vita buona” era vincolata alla “vita
contemplativa, al lavoro dell'intelletto e del corpo, alle arti, alla
politica e alla possibilità di disporre di tempo libero per fare tutto
ciò che venisse richiesto dallo spirito” (Medina, 2006: 106); niente
che riguardasse il lavoro e, meno che mai, le attività manuali, che
offendevano la natura umana. Questa concezione dicotomica avrà un
immenso costo sociale, soprattutto in termini di separazione tra la
natura e l'uomo, tra la campagna e la città, tra la mente e il corpo: a
causa di questo, verrà negata la possibilità a milioni di persone, nel
corso della storia, di vivere una vita degna e “buona”. Il lavoro
manuale, nella società greca, sarà destinato agli esseri umani
considerati barbari o incivili: le donne e gli schiavi. Dissociando il
concetto di “vita buona” da quello del lavoro, si otterà come risultato
solo una grande ingiustizia storica e sociale: l'immensa maggioranza
della popolazione che lavora per assicurare il benessere della
minoranza. (Medina, 2006: 106-107).
Al
contario, il “suma qamaña” dei popoli andini della Bolivia o il “sumak
kawsay” degli indigeni quecha dell'Ecuador presuppone una stretta
relazione con la terra, con i “chacras” dove fiorisce la vita e che
forniscono agli uomini sostentamento, con gli animali, con il lavoro
collettivo nella “minga”. Il sumak kawsay andino è associato alla vita
di comunità, in equilibrio con la natura e con il mondo spirituale. I
popoli indigeni americani, le società contadine e, in generale, tutte
le comunità legate alla terra non cercano di cambiare il mondo quanto
piuttosto di comprenderlo, credono nell'equilibrio e nell'armonia fra
tutte le forme viventi. (Medina, 2006: 108). Per questa ragione il buen
vivir non esclude nessuno anzi incorpora una pluralità di elementi che
appartengono alla cosmovisione dei diversi popoli indigeni: visione del
futuro, conoscenze e saperi, etica e spiritualità, relazione con la
madre terra. I popoli indigeni conducono il loro cammino di
apprendimento e socializzazione nella “chacra”, in relazione con
l'elemento terra. E' attraverso di essa che viene insegnato ad amare e
ad amarla.
Ecco
perché il sumak kawsay come principio ispiratore delle nuove
costituzioni rappresenta un'alternativa: considera le relazioni tra
uomo e natura sotto una diversa prospettiva, pone l'esigenza di
stipulare un nuovo contratto sociale, che recuperi la dimensione etica
e spirituale dei rapporti fra tutte le creature del pianeta. Il buen
vivir ci propone un nuovo modello di vita, che rifiuta tutte le derive
monoculturali. Senza dubbio la realtà è complessa. A partire dal XIX
secolo, in Europa molte persone sono state costrette a lasciare la
campagna per trasferirsi in città , a causa della cosiddetta
“rivoluzione industriale” e a tutte le trasformazioni che questa ha
comportato. Il risultato è stato una crescita senza precedenti degli
agglomerati urbani. Le città andavano popolandosi di lavoratori,
operai, immigrati, mendicanti, prostitute, gente che viveva ai margini,
dando vita a quella che numerosi studiosi chiamano “massa”: concetto
utilizzato per designare le classi sociali considerate “pericolose”,
quelle che non beneficiarono dei vantaggi derivanti dal progresso
industriale (Ortiz, 1996: 71). L'America Latina non rimase immune da
questo fenomeno. A partire dalla metà del secolo scorso, i governi
latinoamericani, con l'appoggio di organismi internazionali e programmi
di aiuto allo sviluppo si impeganrono nella promozione di politiche
“desalloristas” per favorire processi di industrializzazione e
modernizzazione, ottenendo come risultato lo spostamento di enormi
fette di popolazione dalla campagna verso i centri urbani
industrializzati e il conseguente impoverimento di massa dei migranti e
degli ex-lavoratori della terra. L'avvento della società moderna portò
a una serie di cambiamenti importanti: urbanizzazione,
industrializzazione, meccanizzazione, migrazione, conflitti ambientali,
emergere di nuovi attori sociali, ingresso delle donne nel mondo del
lavoro, formazione di un mercato interno, omogeneizzazione. Questo
nuovo paradigma di civilizzazione ha prodotto – e continua a produrre –
una molteplicità di crisi, tra cui una delle più gravi è sicuramente
quella ambientale. L'aspetto paradossale è questo: più cibo produciamo
più aumenta la crisi alimentare, più si genera ricchezza e più crescono
la povertà e le disuguaglianze, maggiori sono i progressi nel campo
della tecnologia e maggiori le fette di popolazione, a livello
mondiale, che non possono beneficiarvi. La modernità implica la
disintegrazione della società tradizionale e delle culture ancestarli
e, con essa, il tentativo da parte delle élite al potere di creare
stati nazionali basati sull'omogeneizzazione e sul “modello unico di
società”. Come ci ricorda Renato Ortiz: “la modernità non è solo
industria ma anche nazione”. (Ortiz, 1996: 85). Il benessere
occidentale significa preminenza dell'individuo sulla collettività,
proprietà privata della terra e libertà di commercio.
Di
fronte a questa realtà, il sumak kawsay ci esorta a ripensare le nostre
relazioni con il mondo naturale, a recuperare il dialogo con la terra
che i popoli indigeni non hanno mai perduto, ci invita a riconoscere le
diversità culturali senza pregiudizi o intenti discriminatori e a
superare il concetto di stato-nazione come ci viene presentato dalla
civiltà occidentale.
L'America
Latina è un mosaico di storie, culture e territori diversi, una
complessità di visioni. Non esiste una sola America, pura e originaria,
anche se non per questo bisogna dimenticare l'importanza delle radici,
dei saperi e delle tradizioni dei popoli ancestrali. Anzi dobbiamo
recuperare questo immenso e ricco patrimonio, per procedere nel nostro
cammino.
Che
il concetto di sumak kawsay sia diventato il centro dei dibattiti
costituzionali dei paesi andini è un passo estremamente importante
perché, fra le altre cose, ci ha permesso di credere ancora una volta
che un altro mondo sia possibile. A partire da questo, è possibile
elaborare e promuovere un nuovo paradigma di civilizzazione che ci
aiuti a superare la crisi ambientale e sociale che l'umanità sta
vivendo. Nel caso dell'Ecuador, l'incorporazione del concetto di buen
vivir nel nuovo testo costituzionale ha significato il riconoscimento
di tutta una serie di diritti e garanzie, molti dei quali già
ampiamente riconosciuti dal diritto internazionale: accesso all'acqua,
al cibo, al lavoro, alla salute, a un ambiente sano, a un'informazione
libera e trasparente.
Il
momento storico che stiamo vivendo ci invita al cambiamento. E'
necessario promuovere alternative contro il potere del capitale
mondiale. E' tempo di trasformazioni. E' tempo di buen vivir!

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