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democrazia Km0 sintesi dei gruppi di lavoro

Andare in basso

democrazia Km0 sintesi dei gruppi di lavoro Empty democrazia Km0 sintesi dei gruppi di lavoro

Messaggio  Admin Ven Nov 06, 2009 4:15 pm






Democrazia KmZero. Sintesi dei gruppi di lavoro
democrazia Km0 sintesi dei gruppi di lavoro Show%5C8da77d5687c847a3818b1df64a79c3582Postato giovedì 5 novembre 2009 e inserito in Buone pratiche, Politica. Puoi seguire
i commenti a questo articolo attraverso i feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o
fare un trackback dal tuo sito.


Il 10 e 11 ottobre ci siamo visti alla Piagge, per «Democrazia chilometro
zero» [DKm0], ospiti di Alessandro Santoro e della sua Comunità, subito prima
che il vescovo di Firenze, Betori, decidesse di distruggere quel laboratorio di
democrazia e di socialità [o almeno tentasse di farlo]. Ora la sintesi dei
lavori, delle discussioni, delle chiacchierate di quelle due giornate è pronta.
C’è voluto un po’ di tempo, perché bisognava comporre decine di interventi nei
tre gruppi di lavoro e nelle due riunioni plenarie. La sintesi è quindi un
lavoro collettivo, che per altro non pretende di essere esaustivo. Oltre che nel
sito di Carta, lo inviamo a tutti coloro che si sono associati e/o hanno
partecipato all’incontro. Con la preghiera di farlo circolare anche oltre,
discuterlo e dare segnali di risposta – di critica, adesione, proposte… – a
carta@carta.org e a chsasso@tin.it [indirizzo di Chiara
Sasso, la nostra amica valsusina che si è presa l’onere di gestire la mailing
list].
Premessa
Qui di seguito trovate i resoconti dei tre gruppi di lavoro a cui le oltre
duecento persone che hanno partecipato a «Democrazia chilometro zero. Incontro
per l’autogoverno», alle Piagge [Firenze] il 10 e 11 ottobre, si sono suddivise
nel pomeriggio del sabato. Sebbene si tratti di resoconti piuttosto diversi tra,
sembrerebbe che nei tre gruppi abbiano preso la parola un centinaio di persone,
che, sommate alla quarantina che hanno parlato nelle assemblee plenarie di
sabato e domenica mattina, fanno un totale non molto inferiore al numero dei
partecipanti [anche se in diversi sono intervenuti sia nelle plenarie che nei
gruppi di lavoro]. A curare i resoconti sono stati coloro che coordinavano i
gruppi: Adriana Alberici, Anna Pizzo e Ornella De Zordo per il gruppo 1;
Cristiano Lucchi e Sergio Sinigaglia per il 2; Andrea Morniroli, Iacopo
Menichetti e Olimpia Gobbi per il 3. Questo testo è stato messo insieme da
Pierluigi Sullo e Mario Pezzella. E’ evidente che non si tratta di verbali delle
riunioni, perciò è possibile che qualcuno di quelli che hanno partecipato non vi
si riconosca: invitiamo tutti a integrare e correggere scrivendo a carta@carta.org o, più in là, sulla mailing
list che, tra altre cose, si è deciso di avviare. In sintesi, e scusandoci
preventivamente per le sommarietà e gli errori, vorremmo qui cercare di fare la
sintesi delle sintesi, ossia elencare quel che ci pare assodato, concordato tra
tutti, dopo le discussioni fiorentine, sia nei gruppi che nelle plenarie. E
mettendo in conto ripetizioni e contraddizioni.
Primo. Ci pare di poter dire che i partecipanti, provenienti
da quasi tutte le regioni italiane e da movimenti, reti, liste locali,
associazioni dalle più diverse culture e attività, hanno concordato sulla
necessità di creare, di fondare, una relazione stabile, una qualche forma di
stabile comunicazione e concerto di attività comuni e di scambio di esperienze.
Questa colleganza si può chiamare «Democrazia chilometro zero» [o, in sigla,
DKm0].
Secondo. Che gli scopi di questa connessione sono quelli di
promuovere una attività di base, magari supportata da gruppi di esperti sulle
diverse tematiche, per la progettazione, derivante dalle esperienze sul terreno,
del tipo di società che vorremmo [secondo la proposta di Francesco Gesualdi];
uno scambio di informazione e «narrazione» delle esperienze di ciascun gruppo o
di ciascuna località, che serva a confrontare gli esiti degli uni con quelli
degli altri, e di migliorarli o di prendere spunto per farli propri; campagne
comuni [come quelle indicate dai gruppi] che, c come ad esempio è accaduto con
il Clandestino Day, permettano a ciascuno di agire secondo le proprie
peculiarità ed inclinazioni ma riconoscendosi in una «cornice» comune; una
elaborazione collettiva, a partire dalle esperienze in corso, di forme di
neo-democrazia da affermare a livello locale, e di un pensiero su questo
decisivo tema.
Terzo. Che il primo impegno di chi ha partecipato
all’incontro è di riportare nelle rispettive reti e comunità i contenuti della
dibattito e le proposte, insieme alla domanda esplicita: vogliamo noi
partecipare a una tale connessione, a tale fare e pensare insieme? Questo, ha
detto in particolare Alberto Castagnola, è il passo necessario a fondare la rete
su basi solide.
Quarto. Che la forma che questa connessione deve prendere è
da definirsi in un ulteriore approfondimento: vi sono le esperienze di rete
[come quella di Lilliput], vi è l’idea sommaria di un «cerchio» [proposta da
Pierluigi Sullo in apertura, e ripresa d più persone], ossia di un consenso, sul
da farsi, «senza centro», che si basi su una adesione ideale: in ogni modo,
tutti hanno escluso forme verticali e gerarchiche, foss’anche basate su
«coordinamenti, anche perché allo stato attuale delle idee, l’unica forma
ipotizzabile di organizzazione è quella della rete
Quinto. E’ perciò necessario promuovere la comunicazione,
prima di tutto via web. Una mailing list subito, un sito più avanti, l’uso dei
media indipendenti disponibili, ecc. Si è sottolineato, da parte di Carta, come
non si debba sentirsi minoritari davanti all’informazione liberista, così come
non ci si sente minoritari di fronte alle potenze dell’economia e al complesso
media-politica.
Sesto. La creazione di «liste di cittadinanza» [e non più
«liste civiche»] è una variabile dipendente dal fare comunità, e dovrà essere
fatta con l’obiettivo di ridurre il danno, per così dire, della rappresentanza,
secondo quel che è stato elaborato nel gruppo su questa
materia.
Settimo. Il senso generale della creazione di «Democrazia
chilometro zero» sta, utilizzando le parole di Mario Pezzella in apertura, nella
creazione di una nuova democrazia dal basso che consenta ai «clandestini», ossia
la maggioranza della società esclusa dalle decisioni e soggetta all’imperio
dell’economia, di affermare una nuova cittadinanza: sono i «cittadini
insorgenti».
Il prossimo paso sarà l’invio di questo resoconto a tutto l’indirizzario di
coloro che hanno partecipato o aderito all’incontro, chiedendo loro
l’affermazione della volontà di partecipare a pieno titolo a Dkm0. Dopo di che
si creerà una mailing list, nella quale verranno fatte circolare proposte di
campagne o sollecitazioni di contenuto alla formazione dei «gruppi per il
progetto sociale». Notizie, documenti, dibattito si troveranno stabilmente sul
sito e nel settimanale di Carta. Si solleciteranno altri media indipendenti a
partecipare.
Ecco i resoconti dei tre gruppi di lavoro.
Gruppo 1. «Sono stata/o eletta/o… e ora?»
L’assunto generale è che il gruppo assume il documento che sta alla base
dell’appello pubblicato su Carta, la «Carta della democrazia insorgente», e si
riconosce completamente nell’appello. Ci si è posti poi una serie di
domande.
Quanto essere grandi?
E’ importante lavorare solo sul primo livello,
mantenere cioè una dimensione che sia al massimo a livello di municipio. Solo
così è possibile conservare il legame col territorio e mantenere il polso della
situazione. Se ci si alza di livello, si rischia che venga a mancare questa
relazione. Con questo non si intende dire che non debbano essere possibili dei
coordinamenti, per esempio a livello provinciale, di liste dello stesso tipo o
relazioni tra territori, sorta di «brecce sovraterritoriali» (Anna Pizzo).
Questi collegamenti sono i benvenuti, ma sono da considerarsi come delle
sperimentazioni.
Il presupposto rimane che il territorio è di chi ci vive e
che occorre promuovere un protagonismo locale.
Come stare nelle istituzioni?
Scegliere una rappresentanza senza delega.
Si può stare dentro e contro. Non bisogna avere paura della contaminazione
perché siamo presenze «asistemiche». La nostra è una posizione scomoda perché
siamo una voce indipendente, non vincolata, non strutturata, e stiamo nelle
istituzioni per dare voce a chi non ce l’ha (Ornella De Zordo). Ancora: stiamo
nelle istituzioni per dare forma ad azioni non pre-formate, non ingabbiate.
Diamo vita a nuove forme di lotta «dentro». Siamo lì per destare
scandalo.
Inoltre, dialoghiamo continuamente con la rete che ci sostiene (un
esempio ne è la mozione sul carcere al consiglio comunale di Firenze portata
avanti dalla lista perUnaltracitta grazie al lavoro della rete «Liberarsi»: De
Zordo). Utilizziamo le istituzioni come strumento (ad esempio per avere accesso
ai documenti). Il nostro percorso, d’altra parte, non è del tutto tracciato e
non è scontato (Marco Palma, No Dal Molin di Vicenza). Insomma, vogliamo essere
caratterizzati da una disorganizzazione organizzata.
Un altro aspetto
importante è la nostra fluidità, la capacità di spostarsi, di intercettare il
disagio o, peggio, il tentativo da parte dei partiti, di impadronirsi di spazi
inizialmente aperti da noi. Dobbiamo avere la prontezza di abbandonare questi
spazi ed aprirne degli altri (Brunelli, Falconara).
Dobbiamo avere delle regole?
E’ importante avere delle regole anche se non
un vero e proprio vademecum. Si possono porre dei limiti alla ripetibilità del
mandato o si può stabilire una rotazione (è stato sperimentato anche un
meccanismo a sorteggio per decidere chi sta nelle istituzioni: Anna Pizzo,
Brunelli).
Possono esserci delle regole anche sui contenuti politici, e
quindi si può stabilire un potere di revoca in caso di mancato rispetto del
mandato.
Si può stabilire un meccanismo di co-decisione col movimento (vedi
il Coordinamento di Capannori, dal quale sono per principio esclusi gli eletti:
Alessio Ciacci).
Le nostre sono «liste di cittadinanza» e non più «liste civiche».
Mentre
le liste civiche nascono su istanze territoriali precise, le liste di
cittadinanza intendono promuovere un approccio a tutto tondo per un’alternativa
al governo della città rispondendo ai bisogni concreti delle persone.
La
cittadinanza, come si legge nella Carta della democrazia insorgente, presuppone
la salvaguardia del luogo e la cura della qualità di vita e quindi corrisponde
alla condizione concreta di «abitante della città».
Per questi scopi la formazione è importantissima. E’ basilare la condivisione
dei saperi e delle competenze, anche per sviluppare tecniche per stare al meglio
dentro e contro le istituzioni (per esempio, occorre diventare bravi nel gestire
gli strumenti consiliari, ad esempio mozioni, interrogazioni, proposte ecc.). In
questo senso, stanno nascendo delle vere e proprie scuole di formazione politica
(esempi concreti si trovano a Falconara e Capannori).
Costruzione di una coscienza politica, di un «noi» politico.
Più volte
(sempre da Franca Caffa, ma comunque condivisa) è stata evocata l’importanza di
far rientrare il sociale nei nostri metodi e nelle nostre campagne, per non
perdere di vista gli strati della popolazione che si trovano più in difficoltà.
Lo stare dalla parte degli ultimi, che non trovano rappresentanza, dovrebbe
essere la base delle nostre azioni. Per quanto riguarda chi sta nelle
istituzioni e si batte per una cittadinanza attiva, si dovrebbero elaborare
delle nuove politiche della città, miranti all’inclusione sociale, alla lotta
contro il precariato e contro la sottrazione dei servizi pubblici alla
collettività più bisognosa, insomma che facciano della difesa dei diritti
fondamentali la base del proprio discorso politico.
Cosa vorremmo che nascesse dall’incontro dal punto di vista
operativo
Vorremmo che partisse innanzitutto un autocensimento, che
consideriamo il primo passo verso il collegamento tra di noi. Quest’ultimo, che
può essere realizzato pensando ad un «cerchio», diventerebbe il mezzo per:
fornire a tutti, vicendevolmente, supporto; costruire la rete; assicurare
periodicità negli incontri (il gruppo ha più volte sottolineato l’importanza di
incontrarsi periodicamente di persona anche per fare, in modo più concreto,
testimonianza su quello che si costruisce localmente); garantire il legame con
le campagne lanciate a livello nazionale e locale.
Gruppo 2. «Come stiamo insieme?»
Forse non è stato un caso che questo sia il gruppo che ha registrato la
maggiore partecipazione. La dimostrazione che il “mezzo” è il “fine”, ossia un
rovesciamento dell a politica novecentesca e occidentale, almeno come
aspirazione. Ovvero: i modi che si scelgono per aggregarsi, il tipo di relazione
che si crea tra le varie soggettività, siano esse singole o collettive,
determina il cammino intrapreso. Il confronto è stato serrato, se su più di
ottanta partecipanti ci sono stati circa quaranta interventi. Su un punto tutti
si sono dichiarati d’accordo: è necessario dare continuità a questo tipo di
incontri. ,Più in generale, attraverso il web ma anche con altre forme deve
proseguire lo scambio di esperienze tra i vari cortili, capace di valorizzare le
conoscenze acquisite, condividerle e farne patrimonio comune anche al fine di
promuovere campagne su obiettivi comuni e condivisi. Alcune campagne ci sono
già, vedi il forum sull’acqua, o la felice, recente esperienza del “Clandestino
Day”. Altre ne possono nascere su temi altrettanto essenziali, come la difesa
del territorio o il nucleare.
Però è altrettanto fondamentale riflettere
sulle esperienze passate e capire perché altre reti non hanno funzionato. Nel
corso della discussione più volte è stato fatto l’esempio della Rete Lilliput
[Davide Biolghini e Riccardo Troisi, in particolare] conclusosi dopo alcuni anni
di interessante sperimentazione. Così come sarebbe utile guardare anche
all’esperienza realizzata con il “Patto di mutuo soccorso”, che con i suoi
meriti e i suoi limiti, può fornire spunti di riflessione
In ogni caso vanno
bene le reti, ma attenzione alla valorizzazione dei piccoli gruppi, nella
consapevolezza che le relazioni personali sono importanti per cercare cambiare
il nostro modo di fare. Una compagna di Roma, Adriana, ha fatto l’esempio
dell’esperienza di un’area di donne che sta seguendo una dinamica imperniata,
appunto, su dinamiche molecolari e ha proposto, a proposito di campagne, il
lancio di una «primavera italiana», e di una «carovana» che attraversi
l’Italia.
Tutto questo nella consapevolezza che non partiamo da zero. La
“cornice”, in parte, c’è già, si tratta di uscire dalla sola dimensione locale e
acquisire una visione più ampia. Un primo passo può essere un «auto-censimento»
dei gruppi che si muovono nel territorio. Un modo per consolidare e coinvolgere
tutte le reti attive.
Ma l’atto preliminare “per avviare un qualunque
processo di collegamento che hanno aderito all’appello di DKm0 – ha detto
Alberto Castagnola – è necessario avere la sicurezza che ogni associazione, rete
o gruppo sia convinto della necessità di cominciare a muoverci in modo
collettivo. Quindi i presenti dovrebbero riportare quanto è stato qui detto e
discusso all’organizzazione di appartenenza e far esprimere una adesione
largamente condivisa a questa esigenza e, se possibile, formulare proposte e
suggerimenti operativi funzionali al collegamento tra realtà. che in ogni caso
restano autonome e indipendenti sul rispettivo territorio.”
Per dare
continuità ai contenuti dell’appello il gruppo di lavoro ha infine, in sintesi,
convenuto che bisogna: legare l’analisi, o il progetto, come nella proposta di
Gesualdi, all’azione; promuovere incontri periodici a livello locale e nazionale
per confrontarsi faccia a faccia sulle cose in agenda; creare nuovi e inclusivi
metodi di lavoro, che superino l’assemblearismo, non sempre funzionale agli
obiettivi, creando una mailing list, forse un sito, utilizzando i mezzi di
comunicazione disponibili [sempre Castagnola ha chiesto a Carta di dedicare uno
spazio permanente sul settimanale al dibattito.
Un maggior dettaglio, a
proposito del lavoro di ricerca proposrto da Gesualdi è venuto da Castagnola nel
dibattito della domenica mattina. All’interno delle reti già funzionanti o dei
gruppi di maggiori dimensioni si possono organizzare dei gruppi di esperti o di
persone qualificate (non necessariamente esperti di livello nazionale o
internazionale) che elaborino analisi o proposte da sperimentare in concreto e
da comunicare agli altri gruppi e organizzazioni; le persone non attive in
associazioni o che abitano in aree periferiche dovrebbero essere incoraggiate a
costituire dei gruppi di persone interessate che inizino a discutere e a
studiare e costituiscano dei luoghi di aggregazione connessi alle altre
iniziative che saranno promosse od organizzate dalle reti e dalle associazioni
di maggiori dimensioni e più vicine. Per il primo tipo è stato suggerito un nome
accattivante: “Cantieri della Critica”, ma altri se ne possono trovare.
Gruppo 3. «Su cosa stiamo assieme»
Ai lavori del gruppo hanno partecipato più di 60 persone, delle quali circa
30 sono intervenute nel dibattito.
In premessa, quasi tutti gli interventi
hanno sottolineato come le tante differenze e diversità presenti a Firenze siano
un valore da rispettare e valorizzare nella definizione di un cammino comune,
evitando l’errore di proporre modelli unici, di fare tentativi di sintesi di un
universo che sintetizzabile non è.
Tutti gli interventi hanno poi
sottolineato, se pur con toni diversi, la necessità di costruire a partire dalle
nostre aggregazioni specifiche, una rete più ampia, capace di connettere nodi,
di definire una prospettiva di cambiamento e alternativa. Così come nella
stragrande maggioranza degli interventi è emersa la volontà di creare legami,
occasioni di incontro, confronto e occasioni per fare insieme non tanto
scegliendo delle priorità o stabilendo improbabili ed inutili gerarchie tra i
nostri interessi, ma cercando di comprendere ed individuare terreni di
riflessione e di azione trasversali alle nostre diverse realtà ed iniziative.
Soprattutto, è emersa la richiesta di costruire legami come cucitura delle
soluzioni e dei modelli alternativi che già stiamo praticando nei luoghi e in
concreto.
Un secondo ambito di riflessione ha riguardato la proposta di
«gruppi di studio» contenuta nel documento di Francuccio Gesualdi e rilanciati
nel suo intervento di apertura. A parte il nome, che non piace a nessuno, la
proposta ha sollevato interesse, inoltre sono state individuate. per i gruppi,
le seguenti finalità: far emergere i saperi che costruiamo con il nostro fare,
per valorizzarli, metterli in rete, utilizzarli come base per la costruzione di
una prospettiva comune e condivisa capace di andare oltre i nostri ambiti
specifici; individuare gli intrecci che legano le nostre diverse attività; far
emergere non solo quello su cui siamo d’accordo ma anche mettere in discussione
i temi, le questioni sulle quali fra noi ci sono differenze e diversità di
pensiero, al fine di comprendere meglio, discutere in profondità, allargare
l’area di quello che condividiamo; provare a elaborare nuovi linguaggi, capaci
di arrivare all’insieme delle comunità in cui lavoriamo.
Un terzo tema di
confronto è stato quello delle «comunità locali», dei luoghi. Tutti hanno
concordato nel dire che, se è vero che nelle comunità locali non c’è solo il
bello ma anche il brutto, non si sentono solo i «profumi», ma anche le «puzze»
che a volte caratterizzano il sistema di relazioni tra diversi, è altrettanto
vero che non possiamo lasciare ciò che non ci piace, le paure e le pulsioni
negative, alla Lega o a chi le usa alimentandole ed incattivendole per incassare
facile consenso e distrazione dai problemi reali. Dobbiamo tener conto della
necessità e dell’urgenza di farsi carico delle rabbie e della cattiveria che
spesso le comunità esprimono verso i più fragili.
In altre parole, occorre
farsi carico delle difficoltà e dei conflitti portandoli dentro ad ambiti di
incontro e mediazione in cui i diritti di tutti gli attori coinvolti vengano
riconosciuti, rispettati e fatti convivere.
Inoltre, è emerso che stare nelle
comunità per noi significa: proporre forme di «riappropriazione sociale dei
luoghi», ad iniziare dal dire che acqua, aria, terra ed energia devono rimanere
pubblici, non possono essere messi sul mercato e privatizzati; porre l’accento
sulla buona qualità dei luoghi di vita e del vivere delle persone, ad iniziare
dal tema dei lavori e del superamento della precarietà; mettere al centro la
persona e i suoi bisogni primari; muovere una critica radicale al modello di
sviluppo semplicemente perché non rispetta i tempi di rigenerazione della natura
[ad iniziare dal no alle grandi opere e alle grandi infrastrutture e dal
rilancio dell’agro-zoo-tecnica]; attivare metodi di partecipazione affinché
siano le popolazioni a scegliere gli assetti del territorio e le forme dei
paesaggi.
Infine, il gruppo ha proposto alcune proposte di possibili attività
e scelte comuni, e specificatamente: una campagna nazionale, da subito, contro
la scelta nucleare che sembra tornare ad essere un pericolo concreto, magari
nella forma del «Clandestino Day», una giornata in cui, attorno a contenuti
comuni e condivisi, ognuno si possa esprimere secondo il suo stile, la sua
storia, le sue competenze e attitudini; rileggere un tema come quello del
«lavorare meno, lavorare tutti», declinato come superamento della precarietà e
legato alla rivisitazione dei modi di produrre e al tema della decrescita; usare
il logo «DKm0» per la promozione e la valorizzazione di tutte le campagne anche
locali ma che possono essere intese, per contenuti e temi, di interesse di
tutti; proporre modalità anche simboliche di impegno che riescano a coinvolgere
anche i singoli cittadini [come fu ad esempio per le bandiere della pace].




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